<\/span><\/h2>\n\n\n\nPerch\u00e9 abbiamo tradotto l\u2019espressione fringe benefit <\/strong> in benefici secondari? Perch\u00e9, di fatto, essi vanno ad integrare<\/strong>, in maniera indiretta, quel beneficio primario che \u00e8 la retribuzione<\/strong>.<\/p>\n\n\n\nPer fringe benefit si intendono tutti quei benefici, quali servizi o compensi in natura, di carattere non retributivo<\/strong> che un datore di lavoro corrisponde ai propri dipendenti<\/strong> in maniera autonoma o in virt\u00f9 dei contratti collettivi, laddove essi li prevedano.<\/p>\n\n\n\nDisciplinati dall\u2019art. 2099 del Codice Civile<\/strong>, essi sono inquadrabili in una particolare categoria di retribuzione, che possiamo definire incentivante<\/strong>.<\/p>\n\n\n\nSe analizziamo lo strumento nel suo essere, infatti, il fine ultimo \u00e8 di carattere molto pratico, ossia quello di rappresentare un vantaggio<\/strong> sia per l\u2019azienda che per i lavoratori.<\/p>\n\n\n\nSe per questi ultimi, il valore di fringe benefit \u00e8 quello di godere di servizi<\/strong> e beni utili <\/strong>al soddisfacimento delle proprie esigenze, per i datori di lavoro il vantaggio del ricorso a questi \u00e8 di natura prettamente fiscale<\/strong>.<\/p>\n\n\n\n <\/figure>\n\n\n\n<\/span>Fringe Benefit ed Esenzione Fiscale<\/span><\/h2>\n\n\n\nTrattandosi di compensi in natura, la domanda che sorge spontanea \u00e8: come vanno considerati i fringe benefit<\/strong> sotto il profilo fiscale<\/strong>? Essi rientrano, in base al principio di omnicomprensivit\u00e0<\/strong>, tra i compensi soggetti a tassazione contributiva e previdenziale?<\/p>\n\n\n\nLa risposta non \u00e8 del tutto scontata. Infatti, in linea di principio si tenderebbe a pensare che, data la loro natura, essi non costituiscono una retribuzione effettiva. Secondo quanto disposto dall\u2019art. 2120 del Codice Civile<\/strong>, per\u00f2, essi andrebbero ricompresi nel novero dei compensi annuali da considerare per il calcolo del TFR<\/strong>. Secondo la Cassazione, invece, sono da considerare a tal fine tutte le retribuzioni, anche quelle in natura, di carattere non occasionale.<\/p>\n\n\n\nTuttavia, il TUIR<\/strong> prevede una deroga<\/strong> al principio di omnicomprensivit\u00e0.<\/p>\n\n\n\nL\u2019art. 51 comma 3<\/strong> del testo, infatti, stabilisce che non vadano considerati come retribuzione i fringe benefit che, globalmente erogati, non superino i<\/strong> 258,23 euro<\/strong>, nel periodo d\u2019imposta. Ci\u00f2 significa che, entro tale limite, essi non sono soggetti a tassazione <\/strong>contributiva e previdenziale, il che rappresenta un notevole vantaggio sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.<\/p>\n\n\n\nTuttavia, per far fronte alle varie emergenze che si sono susseguite negli ultimi tre anni, si \u00e8 intervenuto, in pi\u00f9 di un\u2019occasione, su questo limite.<\/p>\n\n\n\n
Nel 2020, con il Dl 104 2020<\/strong>, si \u00e8 proceduto a raddoppiare l\u2019importo, innalzandolo a 516,46 euro.<\/strong><\/li>Nel 2022, il DL Aiuti-bis<\/strong>, prima e il DL Aiuti-Quater<\/strong>, poi, hanno innalzato la soglia rispettivamente a 600 e a 3000 euro<\/strong>.<\/li>Nel 2023<\/strong>, invece, la soglia \u00e8 tornata ad essere quella fissata a 258,3 euro<\/strong>. Unica eccezione \u00e8 quella per cui il limite rimane a 3000 euro solo per i dipendenti con figli a carico<\/strong>.<\/li><\/ul>\n\n\n\nCosa accade se il limite imposto viene superato? In questo caso, l\u2019intero valore deve essere considerato imponibile.<\/p>\n\n\n\n
Di recente, il Governo \u00e8 intervenuto nuovamente in materia, ma di questo parleremo meglio pi\u00f9 avanti.<\/p>\n\n\n\n