Cambridge Analytica e Facebook

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Nell’ultimo mese tanta diffidenza ha preso piede tra investitori e utenti del web: a causarla è stata la vicenda legata a Cambridge Analytica, società responsabile di aver trafugato milioni di profili Facebook per fini elettorali.

Lo scandalo ha scosso Facebook che è corsa subito ai ripari garantendo agli utenti la possibilità di scaricare i propri dati da facebook.

Eppure pochi sanno spiegare chi c’è dietro tutto questo e cosa è successo veramente: ecco una guida al caso di maggiore attualità in orbita social network.

Cos’è Cambridge Analytica

Cambridge Analytica è una società di consulenza con sede nel Regno Unito e filiali in tutto il mondo e si occupa in particolare di analisi di mercato. Il 17 marzo 2018 è salita alla ribalta della scena internazionale.

La testata americana “The New York Times” e il periodico britannico “The Observer” l’hanno accusata di aver avuto accesso non autorizzato a informazioni personali di milioni di utenti Facebook. Subito la notizia è stata ripresa dai media di tutto il mondo.

Il Ceo dell’azienda, Alexander Nix, pochi giorni dopo, è stato sospeso dall’incarico e convocato qualche settimana più tardi, dai parlamentari britannici per conferire su quanto accaduto.

Quali dati sono stati sottratti agli utenti

Cambridge Anaytica, tramite alcune applicazioni, è entrata in possesso di informazioni apparentemente innocue. Like a post e foto, commenti, amicizie virtuali strette: questi elementi sono risultati decisivi per lo scopo dell’azienda.

Incrociando i dati acquisiti, la società britannica ha potuto avere un identikit di 87 milioni di persone circa, in particolare riguardo i loro gusti e le loro aspirazioni. Chi può essere interessato a un simile bottino?

Non certo gli investitori: tramite le nostre ricerche su Google, le maggiori aziende sul mercato sanno di cosa siamo in cerca e con i famosi “cookies” ci fanno trovare le relative pubblicità. La novità di questa vicenda è l’ingresso nel delicato campo dei dati virtuali da parte dei partiti politici.

A usufruire dei dati sono stati i comitati elettorali pro-Brexit e quelli che hanno sostenuto Donald Trump nel cammino verso la presidenza degli Stati Uniti d’America. Fatti che risalgono dunque al 2016.

I danni subiti da Facebook

In seguito a ciò, ad oggi, l’81% degli utenti di Facebook ha una pessima opinione di Mark Zuckerberg e molto utenti hanno deciso di cancellarsi da facebook.

l fondatore della piattaforma, prima del 17 marzo scorso, era una figura ben vista dal 75% degli iscritti, per alcuni addirittura un modello di riferimento. Il sondaggio fatto da Reputation Manager restituisce uno dei tanti effetti negativi che si sono abbattuti su Facebook.

Innanzitutto il danno economico stimato intorno ai 100 miliardi di dollari. Il titolo a Wall Street è crollato improvvisamente del 7%. Dopo la diffusione della vicenda, importanti aziende hanno cancellato la loro pagina Facebook e la stessa cosa hanno fatto tanti personaggi in vista.

Dalla rivista Playboy alle società guidate dal magnate Elon Musk: la Tesla Motors, specializzata in veicoli elettrici e impianti fotovoltaici, e l’azienda aerospaziale SpaceX. L’esodo si espande a macchia d’olio e nasce l’hashtag #deleteFacebook.

A tutto ciò si è aggiunto lo scontro a distanza con la Apple, il cui Ceo Tim Cook ha accusato Zuckerberg di aver messo a repentaglio la privacy dei suoi utenti. Fu forse in base a questo stesso principio che il 2 dicembre 2015, in seguito alla strage di San Bernardino in California, lo stesso Cook si rifiutò di fornire alla Fbi le chiavi di accesso allo smartphone di uno dei due terroristi islamici, responsabili della morte di 14 persone. Gli agenti avevano dunque recuperato invano il telefono dell’aggressore di origine pachistana.

Zuckerberg intanto, convocato dal Senato americano, ha chiesto scusa e ammesso le sue responsabilità. Davanti alla Camera dei Rappresentanti ha aggiunto che tra i profili “violati” c’è anche il suo. Per affrontare i membri del congresso, Zuckerberg è stato preparato dagli avvocati Wilmer&Hale, tra i cui assistiti ci fu anni fa l’ex presidente americano George Bush. Non li ha entusiasmati, ma molti di loro neanche sapevano di cosa si parlasse, essendo tutt’altro che smanettoni tecnologici.

Intanto gli utenti europei, 1/4 della popolazione di Facebook, saranno meno propensi ad acconsentire a nuove richieste di dati, diminuendo del 10% il loro tempo sul social. Ne subiranno conseguenze le pubblicità, co un danno di quasi 3 miliardi di dollari. A  questo si aggiunge la richiesta di risarcimento da parte di Euroconsumers, di cui fa parte l’Italiana Altroconsumo. Solo negli ultimi giorni inizia a trasparire fiducia da parte di alcuni investitori.

I risvolti legati alla privacy

Per risolvere i problemi di Facebook, secondo Zuckerberg, potrebbero volerci anni. Attualmente sono 14mila le persone che lavorano al caso ma potrebbero diventare presto 20mila, su un totale di 23mila dipendenti.

Le notizie trafugate si intersecano con i cosiddetti dati sensibili, ossia informazioni personali trattabili solo con il consenso dell’interessato e l’autorizzazione del Garante della Privacy. A tutelarli è la legge n.196/2003 e sono le convinzioni religiose o ideologiche, eventuali adesioni a partiti, sindacati o associazioni varie, abitudini sessuali oltre a origine etnica e condizioni di salute, ovvero il GDPR.

In merito a ciò la commissaria alla Giustizia dell’Unione Europea, Vera Jourouva ha telefonato la numero 2 di Facebook, Sheryl Sandberg e presto convocherà Zuckerberg al Parlamento Europeo. Intanto lo “ringrazia” perché con questa vicenda ha “pubblicizzato” il nuovo regolamento europeo sulla Privacy, in vigore dal 25 maggio prossimo.

L’Italia dovrà adeguarsi entro il 28 maggio sostituendo l’attuale legge, di cui sopravviveranno solo alcune norme. Tra le novità l’inserimento in ogni azienda di un Data Protection Officer, ossia un Responsabile della protezione dei dati, e un preciso schema di archiviazione dei dati personali all’interno di organizzazioni o stabilimenti. Con le normative attuali, intanto, la possibilità di una simile fuga di dati non era comunque previste.

Se esistesse una solida coscienza politica, tali acquisizioni non avrebbero comunque dovuto sortire effetti sulle elezioni. Le persone non dovrebbero, di norma, votare in base alla pubblicità sui social, come se stessero scegliendo un prodotto commerciale. Sono state promesse, paure e convenienze personali a portare su tutt’altra strada. Se contasse di più l’intelligenza dell’elettore, la democrazia non verrebbe intaccata da fughe di dati come questa e sarebbe salva.